Carlo Ceresa e bottega, Ritratto di Giovanni di Francesco Pesenti


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Il pittore Carlo Ceresa è una delle glorie bergamasche del ritratto, capace di raccogliere l’eredità del grande Giovan Battista Moroni sviluppando, in pieno Seicento, uno stile d’intenso realismo e di acuta indagine psicologica. Non stupisce, pertanto, che nella quadreria storica dell’Ospedale di Bergamo, che scandisce la storia della città, ci siano ben tre ritratti e un dipinto sacro di questo autore, il cui ultimo discendente, morto nel 1787, lasciò tutti gli averi di famiglia, comprese alcune opere del celebre avo, allo stesso Ospedale. Questo interessante Ritratto di Giovanni di Francesco Pesenti giunse al nosocomio nel 1670 con l’eredità del figlio Carlo Pesenti, morto senza discendenti. Giovanni, raffigurato con aspetto energico e carismatico, era nato nel 1588 e al tempo del ritratto aveva 62 anni, come riferisce l’iscrizione nel margine superiore. Apparteneva al ramo familiare di Paxino Pesenti, originario di Gerosa in Val Brembilla, i cui membri si trasferirono a Bergamo e nella vicina località Sombreno dal XV secolo, raggiungendo potere e ricchezza con il commercio dei tessuti e con i traffici finanziari. Quest’opera è una replica parzialmente autografa di uno degli splendidi ritratti Pesenti, tuttora di proprietà degli eredi, fatti eseguire a Carlo Ceresa per celebrare i principali esponenti della famiglia nel 1650. Rispetto all’originale, interamente eseguito dall’artista, il dipinto dell’Ospedale fu commissionato in dimensioni maggiori probabilmente dal figlio Carlo per commemorare il padre morto nel 1653: conserva lo stesso meticoloso realismo dell’originale, arricchito con dettagli aggiuntivi, quali il damasco operato (con decori ton sur ton) dell’austera casacca e la raffigurazione completa del grande cappello appoggiato sul fianco, mentre l’attenuata intensità del volto indica la partecipazione degli aiuti di bottega.


Alessandra Civai, Lisa Fracassetti

Olio su tela, cm 121 x 95. Restauri: 2011, Antonio Zaccaria

ASST Papa Giovanni XXIII, Inv. 55286
 

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