Pittore lombardo, Ritratto di Liberata Tiraboschi


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Nel dipinto appare una gentildonna elegantemente abbigliata con veste in seta nera broccata in oro, foderata di pelliccia e terminante a punta sul davanti. Lo scollo, non più ovale, è impreziosito da un bordo di merletto ad ago a fiori barocchi rilevati nel quale è fatto passare un cordone rosso su cui è fissato il grande pendaglio al centro, che connota l'alto stato sociale della donna. La veste lascia ampiamente intravedere le maniche strette "a gonfiotti" e terminanti con polsi realizzati con merletto ad ago. Al collo ha due fili di perle, che sembrano quasi riprendere il motivo delle maniche. L'acconciatura è adorna di un leggerissimo velo bianco, probabilmente ricamato o impreziosito da un merletto a fuselli, che ricade sulle spalle.
Alcuni dettagli dell'abbigliamento, come le maniche della camicia e l'uso del merletto ad ago a fiori barocchi rilevati, anticipano di circa un decennio la datazione 1692 scritta sulla tela (comunicazione orale di Doretta Davanzo Poli), che si riferisce invece alla consegna del lascito testamentario di Liberata Tiraboschi, probabilmente la nobildonna effigiata. Dal testamento della donna e da altri documenti, risulta che la donna, abitante a Nembro e morta nel 1709, istituì suo erede universale l'Ospedale. Il dipinto potrebbe essere la testimonianza di un artista, attivo approssimativamente nell'ultimo quarto del Seicento, capace di reinterpretare il naturalismo bergamasco attraverso una stesura pittorica più morbida e con una visione dilatata che sostituisce la messa a fuoco minuziosa del dettaglio con una più avvolgente resa dei valori chiaroscurali. La delicata caratterizzazione psicologica, peraltro improntata a un disciplinato contegno, suggerirebbe l'influsso della ritrattistica di Pier Francesco Cittadini, milanese a lungo attivo a Bologna.

Olio su tela, cm 88 x 73,2
Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII, Inv. 55367

 

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